Dalle milizie forestali alle maestranze boschive: un altro po' di storia dei nostri boschi

25 Febbraio 2021
Fascia maestranze boschive anni '40

La Sardegna, secoli e secoli fa era presumibilmente un'Isola verde, quasi interamente ricoperta di bosco, quando la scarsità di popolazione (quindi i limitati bisogni della colonizzazione umana) non avevano ancora prodotto sfruttamento e deforestazione per far posto a colture agrarie, ai pascoli e più in generale all'invadenza dell'attività umana.

Si può ritenere che la scomparsa del bosco dalle aree pianeggianti del Sulcis, dai Campidani di Cagliari e di Oristano e dalle colline della Trexenta e della Marmilla, sia potuta avvenire nella fase più antica della colonizzazione e che il disboscamento sia poi proseguito via via che l’incremento della popolazione imponeva la messa a coltura di nuove terre, per il soddisfacimento delle necessità primarie legate al sostentamento delle popolazioni. Le fluttuazioni demografiche hanno senza dubbio comportato anche la riconquista al bosco di zone in precedenza coltivate, ma la tendenza costante è stata quella di una contrazione delle aree forestali.

UNA COPERTURA BOSCHIVA STRAORDINARIA (FINO al Settecento)

Una copertura boschiva che ancora nella seconda metà del ‘700 copriva le montagne del Sulcis, dell’Iglesiente e del Sarrabus a sud; che vedeva al centro dell’isola le foreste del Goceano spingersi verso sud ovest, senza soluzioni di continuità, attraverso le alture di Bolotana e Silanus ed i monti di Macomer, fino ai boschi della di S. Leonardo e di Scano Montiferro e a Seneghe, e congiungersi, tramite le selve di Pattada, di Buddusò, di Alà dei Sardi e di Monti, ai boschi della Gallura a nord, ed unirsi infine, ad oriente, alle foreste della Barbagia, dell’Ogliastra e del Gerrei.  Ancora in parte boscosa era all’epoca la Nurra, e le montagne che sovrastano Bosa erano ricoperte di un unico manto forestale fino a Montresta e Villanova, manto che si estendeva a nord verso Putifigari e a nordest verso Uri.

Boschi cedui, alcuni dei quali ricchi di provvigione legnosa o fustaie dense e plurisecolari di leccio e di roverella; soprassuoli di leccio misto ad annosi olivastri o querceti inframmezzati da maestosi tassi e millenari ginepri.  Ma anche boschi talvolta radi o molto radi; fustaie spesso stramature e decrepite, prive di rinnovazione, con piante bitorzolute, contorte e deformi, tronchi spezzati e marcescenti, rami monchi e fusti cavi, anneriti dal fuoco e minati da carie. Foreste qualitativamente appetibili per la «bontà impareggiabile del legname superiore a quello d’Italia ed equivalente a quello di Borgogna, qualità primaria dell’Europa», come ebbe a relazionare nel 1824 un capitano a proposito dei boschi di S. Leonardo, ma soprattutto foreste idonee a fornire per la maggior parte solo legna da ardere e carbone. E fitte boscaglie e dense macchie che si estendevano sulle colline fino al piano, ricche di filliree, di corbezzoli, di grossi lentischi e di olivastri. Ma anche meno fitte boscaglie e macchie rade e cisteti e soprassuoli forestali con incipienti segni di degradazione ed evidenti guasti da incendio occupavano vastissime superfici e completavano il panorama forestale della Sardegna, all’epoca in cui il governo Sabaudo cominciò a mostrare interesse per la risorsa forestale isolana. 

L'editto delle chiudende, 1820

La dominazione piemontese in Sardegna iniziò nel 1720 ed esattamente un secolo dopo, nel 1820, viene emanato l’editto delle chiudende: si consentì la creazione della proprietà privata e venne del tutto cancellato il regime della proprietà collettiva dei terreni, una delle principali caratteristiche della cultura e dell'economia sarda fin dal tempo dei nuragici. Questa "imposizione dall'esterno" di valori culturali portati dai piemontesi, considerati invasori, con le evidenti conseguenze anche economiche per una popolazione che faceva dell'agricoltura comune e della pastorizia su terreni comuni la sua fonte di vita, contribuì in modo determinante a un ulteriore aggravarsi del fenomeno della ribellione e di conseguenza del cosiddetto banditismo sardo.  Da sottolineare inoltre che tale fatto alimentò dissidi tra i pastori e i contadini.   [per approfondimenti: EDITTO DELLE CHIUDENDE: UNA PAGINA DI CONFLITTUALITÀ NELLA STORIA SARDA]

I Tagli Sconsiderati, a partire dall'Ottocento

Vi è comunque il convincimento diffuso che fino all'Ottocento la Sardegna fosse ancora molto boscosa e ricca di foreste plurisecolari che si immaginano popolate di maestose piante e ricche di biodiversità, perdutasi poi a causa di sconsiderati tagli che speculatori senza scrupoli avrebbero compiuto, incuranti delle corrette norme di utilizzazione boschiva.

I boschi sardi sono dunque assai legati alle vicissitudini del Regno di Sardegna  - che nella sua parabola conclusiva concorreva a distruggere parte del patrimonio forestale dell’isola per far fronte alle necessità delle miniere e delle fonderie regie, come raccontano bene, fra gli altri, libri come quello di Enea Beccu "TRA CRONACA E STORIA - LE VICENDE DEL PATRIMONIO BOSCHIVO DELLA SARDEGNA". [qui per maggiori approfondimenti]

Dal XIX al XX Secolo

Nel 1835 con l'abolizione dei feudi spagnoli voluta da Carlo Alberto e la successiva Carta Reale del 1839 si cercò di mettere ordine nelle proprietà fondiarie e di regolamentare gli usi civici sui beni ex feudali denominati ademprivili. [Per maggiori approfondimenti: STORIA DELLE FORESTE DEMANIALI].    Così, sul finire del XIX secolo, si affidarono ai comuni i rimanenti terreni ademprivili e allo Stato furono riservati i boschi aventi funzione idrogeologica, i laghi, gli stagni e le miniere.

La Carta Forestale del Regno d'Italia (1936) evidenzia una presenza importante di molte specie forestali in piccola parte della Sardegna: soprattutto Sughera d'alto fusto, ed altre specie e misto ceduo, oltre a boschi degradati.    Il Catasto della Sardegna, eseguito verso la metà del secolo scorso, rilevò che la proprietà demaniale ex ademprivile era pari a circa 500.000 ettari, di cui 345.000 boschi.

Il riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani: il Regio Decreto L. 3267 del 1923

Un capitolo a parte della storia forestale italiana e sarda merita questo poderoso intervento legislativo del Regno d'Italia - ancora vigente - che riformò le regole di gestione dei boschi e dei terreni montani, intervenendo:

  • con limitazioni alla proprietà terriera (capo I)
  • con vincoli specifici e disposizioni penali e di polizia forestale
  • con regole sulla sistemazione idraulico-forestale dei bacini montani (titolo II)
  • con disposizioni sul rimboschimento e rinsaldamento di terreni vincolati (capo II)
  • con incentivi a favore della silvicoltura e dell'agricoltura montana, anche attraverso esenzioni fiscali e contributi finanziari dello Stato;
  • con la sistematizzazione nella gestione del patrimonio silvo-pastorale dello Stato, dei comuni e degli altri Enti (istituendo - tra l'altro - l'Azienda del demanio forestale di Stato)
  • sul tema della "Istruzione, propaganda ed assistenza forestale" prevedendo, tra l'altro, la "festa degli alberi" (articolo 104);
  • sulla creazione degli organi dell'amministrazione forestale.

Il periodo coloniale del Regno d'Italia, il periodo fascista e la guerra

La storia ci ricorda che poi, nel 1926, con Regio Decreto Legge n.1066 veniva istituita la "Milizia Forestale" allo scopo di dare allo Stato un organo "vitale e disciplinato" per l'attuazione delle direttive del governo Mussolini nel campo della politica forestale fascista.  Il decreto contestualmente sopprimeva il Corpo reale delle foreste. Inizialmente il reclutamento dei "militi" andò a pescare dal soppresso "Corpo reale delle foreste" e dal personale quello addetto alla vigilanza sulla pesca e la custodia dei regi tratturi, inquadrato da ufficiali provenienti in parte dai ruoli tecnici forestali e in parte da ufficiali del Regio Esercito.   Gli ufficiali furono reclutati fra i laureati in scienze agrarie o in ingegneria che avessero frequentato un corso speciale d'istruzione forestale e militare.

Nel 1930 la "Milizia Forestale" contava 337 ufficiali e 3 441 sottufficiali che nel decennio successivo sarebbero arrivati ad oltre 20 000, il cui controllo venne inizialmente affidato al Regio Esercito. Ma con due successivi regi decreti la milizia forestale venne riordinata per afferire tecnicamente ed amministrativamente al Ministero dell'Economia Nazionale e dal 1929 dalla Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste: questo ci indica come le foreste, a quei tempi, furono viste come un fattore strategico e produttivo, senza alcun valore "ambientale" e "paesaggistico".

ORGANIZZAZIONE e COMPITI della MILIZIA FORESTALE

La Milizia forestale era costituita da un comando centrale e da un gruppo di Legioni, e da una coorte autonoma con sede a Cagliari, e da due scuole (sottufficiali e militi forestali). Legione, coorte, centuria, manipolo e distaccamento costituivano in ordine gerarchico, e i reparti della Milizia nazionale forestale (comandi) erano retti da ufficiali, con compiti tecnici-amministrativi e disciplinari:  la "milizia forestale" era il braccio operativo (ed armato) con cui lo stato fascista controllava la "risorsa produttiva" - ma aveva anche funzioni di controllo del territorio e di polizia.
Soffermandoci sulla prima delle tre funzioni, i compiti affidati ai "forestali" dell'epoca erano:

  • difesa ed incremento del patrimonio boschivo nazionale: assestamento forestale, gestione razionale dei beni silvo-pastorali dei comuni e degli altri enti fra i quali l'ente autonomo Azienda foreste demaniali;
  • vivaismo forestale;
  • sistemazioni idraulico-forestali, consolidamento delle dune ed in generale opere di difesa contro il dissesto idrogeologico;
  • maggior progresso dell'economia montana in generale, sorveglianza della caccia, della pesca, custodia dei regi tratturi e delle regie trazzere (percorsi delle transumanze).
  •  ordine pubblico, nell'ambito forestale
  • assistenza e soccorso in caso di calamità.

Possiamo quindi dire che, in sintesi, la "Milizia Forestale" esercitava nel Regno d'Italia le funzioni che oggi sono svolte, nella nostra Regione, da quattro soggetti: Agenzia Forestas, Corpo Forestale,  Protezione Civile e Soccorso Alpino e Speleologico.

 Le "maestranze boschive"

Nel 1941 il fabbisogno di materiali e di fonti energetiche era diventato talmente critico che lo Stato approvò un Regio Decreto Legge per "mobilitare la produzione e la distribuzione delle risorse" ossia - in sostanza -  per assicurare l'approvvigionamento del carbone vegetale  alle  Forze  armate,  alle  industrie e alla popolazione civile in periodo di guerra  (II r.decreto legge 2 gennaio 1941, n. 1, recante disposizioni per la disciplina della produzione e della distribuzione del carbone vegetale in periodo di guerra poi convertito in Legge  L. 18 aprile 1941, n. 469 (in G.U. 11/06/1941, n. 136). In tale norma, si stabiliva, tra l'altro:

  • che per i servizi relativi all'approvvigionamento del carbone vegetale, la Milizia nazionale forestale, potesse reclutare personale civile di ruolo nelle altre amministrazioni, personale militare in congedo e personale avventizio da assumere per produrre carbone; 
  • di reclutare fino a 15.000 unità di dirigenti, dei tecnici e degli operai specializzati nelle utilizzazioni boschive e nell'allestimento e trasporto del carbone vegetale.

In sostanza il Comando della Milizia nazionale forestale aveva facoltà di requisire - secondo le norme vigenti in tempo di guerra - il  carbone vegetale, il sovrassuolo dei boschi, i tagli dei boschi in corso di utilizzazione, i materiali e mezzi di lavoro e di trasporto.  La mano d'opera individuale e collettiva necessaria a produzione e trasporto del  carbone  vegetale  era  considerata  "mobilitata civilmente".   
Per i nostri boschi non fu un buon periodo...

I primi provvedimenti a favore dei territori montani nel Dopoguerra 

Da segnalare la Legge 29 aprile 1949, n. 264 sui cantieri di lavoro, di rimboschimento, di sistemazione montana e per vivaisti.  Questa legge, nata con finalità principalmente economico-sociali, ridusse in parte la disoccupazione, grazie anche all’istituzione di speciali cantieri scuola e permise la formazione di maestranze specializzate, la restaurazione di molti vivai forestali, la costruzione di strade di montagna e il rimboschimento di estese superfici di terreni nudi.

 La legge per la montagna

Con la Legge n. 991 del 1952 (Legge per la Montagna) avvenne una vera e propria trasformazione nell'intervento dello stato: grazie allo stanziamento di notevoli finanziamenti, furono avviate opere sia a favore dell’economia montana che forestale e per la salvaguardia territoriale. Erano considerati montani i comuni con territorio (almeno per l’80% ) al di sopra dei 600 metri di altitudine sul livello del mare, o che avessero un dislivello, tra la quota altimetrica minima e massima, di almeno 600 metri.

Le Foreste Demaniali: dallo Stato alla Regione

 Le competenza delle foreste demaniali dello Stato transitò alla Regione Sardegna con la nascita dell'Azienda Foreste Demaniali della Regione Sarda (A.F.D.R.S.), istituita con Legge Regionale n.6 del 29 Febbraio 1956.   ​Successivamente, la storia prosegue con l'istituzione dell’Ente Foreste Sardegna (L.R. n. 24 del 9 giugno 1999): la A.F.D.R.S. venne soppressa ed il patrimonio forestale transitò verso l'attuale struttura, all'attualità trasformata in Agenzia Regionale (Fo.Re.S.T.A.S.) dalla Legge Forestale Regionale (L.R. n.8 del 27 aprile 2016).  [per approfondimenti: LA MISSION DELL'AGENZIA FORESTAS]

Il Piano di Rinascita: la Sardegna tra gli anni '50 e '70

Per dirla con le parole dello storico Aldo Accardo "per tutto il primo trentennio, la storia dell’autonomia in Sardegna consiste nelle vicende del Piano di rinascita: dalla sua predisposizione e approvazione (1950-1962), ai tentativi di attuazione (1965-69), ai sempre più evidenti insuccessi (1969-74), al suo rifinanziamento". 
La legge 11 giugno 1962 n. 588 (Piano straordinario per favorire la rinascita economica e sociale della Sardegna in attuazione dell’art. 13 della legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 3) fu l’esito conclusivo di una lunga gestazione parlamentare e del dibattito nel consiglio regionale. 

Dal punto di vista forestale, ci fu un grande impulso alla riforestazione. L’acquisizione della foresta di Usinavà (anno 1964-1965) al patrimonio demaniale è indicativa degli scopi della Legge n. 588 del 1962  (meglio nota come Piano di Rinascita della Sardegna) con la quale venivano conferiti all’Azienda Foreste Demaniali, tra gli altri, anche i compiti dell’ampliamento del territorio forestale.
Più in generale, il Piano di Rinascita prevedeva, all'art.22, la demanializzazione ed il rimboschimento di vaste superfici di terreno regionale.  [per approfondimenti: OTTO ANNI DI ATTIVITÀ (1957 - 1964)]

L'adozione del Programma Pluriennale di Forestazione (PPF RAS, 1980)

Il lontano PPF del 1980 poneva fra i suoi obiettivi principali la creazione di nuovi posti di lavoro e l’aumento della produzione di legno, il tutto attraverso un piano di nuovi rimboschimenti pari a ben 400.000 ettari nell’arco temporale di un ventennio. Obiettivo quest’ultimo molto ambizioso ma ridimensionato dalle difficoltà, inizialmente sottovalutate, di reperire i terreni ed i mezzi finanziari necessari.  Determinante fu la lentezza della riforma del settore agropastorale che, a seguito delle trasformazioni fondiarie e dell’aumento delle produzioni foraggiere, in breve avrebbe dovuto assicurare una maggiore disponibilità di aree sottratte all’uso pascolo e che invece dovette fare i conti con la forte resistenza del mondo pastorale. L’attuazione di solo alcune linee di indirizzo programmate avanzò grandi passi: si pensi all’enorme crescita della gestione pubblica che all’epoca, sommando le superfici in occupazione o amministrate dagli Ispettorati Forestali e dalla Azienda Foreste Demaniali ammontava a circa 102.000 ettari e che nel 2006 arrivò alla bellezza di 220.000 ettari.
La gestione forestale pubblica è stata attuata in Sardegna dal 2001 attraverso l’Ente Foreste della Sardegna e la consistenza della manodopera occupata nel settore pubblico è passata dalle 2.513 unità del 1979 sino a sfiorare le 6.000 unità lavorative nel 2006.

La consistenza del patrimonio boschivo regionale negli ultimi decenni è quindi cresciuta sensibilmente, non solo attraverso l’iniziativa pubblica ma anche per interventi di forestazione produttiva condotti da società private o a capitale misto (Marsilva S.p.A., Sar.For., S.A.F.) dalla fine degli anni ’70 ai primi anni ’90.   Alla prima metà degli anni ’90 sono stati erogati i finanziamenti comunitari collegati ai Reg. 2078/92 e 2080/92 che hanno promosso ricostituzioni boschive e gli imboschimenti sui terreni agricoli, mentre la chiusura del PSR 2000-2006 ha finanziato ulteriori imboschimenti che non trovarono copertura col Reg. 2080.
Ma la piattaforma del PPF si mostrò debole e insufficiente dopo già qualche anno, non riuscendo a coordinare una serie così complessa di condizioni mutevoli, né la programmazione regionale poté sopperire con valide alternative, carente di uno strumento pianificatorio unitario e in un quadro amministrativo a tratti affetto da incoerenze istituzionali e competenze frazionate in materia forestale.
Gli stessi interventi per la difesa del suolo, finanziati attraverso i fondi della L. 183/89, del D.L. 180/98 e del POR 2000-2006, appaiono slegati tra loro e orfani di una pianificazione organica di bacino che non è riuscita a valorizzare in modo sistematico e omogeneo la componente forestale nè il suo ruolo essenziale in termini di difesa idrogeologica. [per approfondire: Relazione Generale al nuovo PFAR, 2007].

Il P.F.A.R. del 2007

Un importante strumento che disegna le strategie per la tutela e incremento delle risorse forestali della Sardegna; al centro dell’azione l'obiettivo della gestione sostenibile delle foreste è il piano varato nel 2007 - Piano Forestale Ambientale Regionale (PFAR) secondo la procedura della Valutazione Ambientale Strategica (VAS).  

Il PFAR è decennale (scritto nel 2007, approvato nel 2008, scaduto nel 2018) ma resta il documento di riferimento per l'attuazione delle politche forestali regionali, richiamato anche dalla più recente L.R. n. 8 del 2016 (Legge Forestale Regionale). 

Lo schema proposto dal PFAR è quello di una pianificazione gerarchica con un livello regionale, uno territoriale o di “distretto” e uno particolareggiato su scala aziendale, per la necessità di rispondere in termini concreti alla crescente richiesta di sinergia tra istituzioni, di partecipazione pubblica ai processi decisionali, di coinvolgimento delle comunità locali nella condivisione di obiettivi e responsabilità.

Per il livello territoriale sono state individuate 25 unità di pianificazione denominate “Distretti”, che poggiano sui limiti amministrativi e racchiudono affinità di carattere fisico, vegetazionale, naturalistico e di identità storico-culturale delle popolazioni che vi risiedono.

Altro punto di forza del Piano è la previsione di 8 Progetti Operativi Strategici per la programmazione e regolamentazione di tematiche prioritarie per il settore forestale sardo: settore sughericolo, vincolo idrologico, regolamentazione del materiale di propagazione forestale, la carta forestale, il programma di rinaturalizzazione dei sistemi artificiali, la certificazione forestale, gli impianti per l’assorbimento di carbonio (Kyoto-forest) e la regolamentazione sull’utilizzo delle specie vegetali lungo la viabilità stradale.

Le foreste in Sardegna, oggi

Le aree gestite da Forestas sono un immenso patrimonio dei sardi, che consiste :

  • nelle foreste demaniali provenienti dalla soppressa Azienda Foreste Demaniali della Regione Sarda (A.F.D.R.S.) come previsto dall’art. 15 della L.R. 24/99 poi modificata dalla Legge Forestale sarda (LR 8/2016) e da quelle acquisite a vario titolo da altri enti pubblici e già gestite dalla stessa A.F.D.R.S. (vanno ad aggiungersi a queste cosiddette  foreste “storiche” quelle acquistate o prese in concessione da altri enti pubblici  e dai Comuni sin dall'istituzione dell'Ente Foreste della Sardegna
  • cantieri Forestali a vario titolo gestionale, composti dai terreni vincolati ai sensi del Regio Decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, di proprietà privata, già in occupazione temporanea da parte degli Ispettorati Forestali e transitati all’Ente Foreste e poi Forestas.

 

(a cura dell'Ufficio Comunicazione Istituzionale della Direzione Generale)

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